Ti fa entrare nel caveau di una
banca o nel carcere di Canton Mombello, ti spiega come si fa saltare in aria una
discoteca in corso Sempione, padroneggia la procedura penale e descrive Milano da
esperto di urbanistica, mostra più di ogni telegiornale il volto modernissimo e
pericoloso del crimine globalizzato, che non ha ormai bisogno di spostarsi
fisicamente, eppure c’è. Dentro il tessuto sociale ed economico delle città.
Con l’ultimo romanzo (Città di polvere, Feltrinelli) Romano De Marco ti trascina
in luoghi segreti, rivelandoti particolari sbalorditivi. Ti dici che alla lunga
non reggerà la perfezione di simili incursioni nei retroscena della vita, che
cadrà sulla trama, sulla descrizione dei personaggi e della loro anima, sulla
capacità di narrare. E invece la storia scorre meravigliosamente. Rapisce la
scrittura senza sbavature, appassiona la vita dei
protagonisti, imprigiona il complesso intreccio giallo. Vai avanti, per 350 pagine, senza perdere una sola battuta.
Si comincia forte, come De Marco ha
abituato i suoi lettori,
con una rapina spettacolare, mirabilmente descritta, in cui spuntano bazooka
leggeri, armi sofisticatissime che polverizzano le auto della polizia come in
un videogioco. E’ solo l’assaggio, perché “Città di polvere” è un romanzo di
pura fantasia, un episodio noir, che sfrutta tutto quanto di più moderno ha
cambiato e potrà cambiare ancora il volto della criminalità. Milano è ancora
città da conquistare e, a contenderla alla ‘ndrangheta - feroce e infilata nel
cuore della società –, è un’organizzazione di estrema destra, che fa capo ai
circoli neonazisti, gente che indossa lunghi trench di pelle, passamontagna,
anfibi e giubbotti antiproiettile, tutto rigorosamente nero. Il controllo del
mercato della droga resta l’affare più appetibile per la criminalità
organizzata, anche con i nuovi mezzi, perché è più facile da manipolare, da
inventare persino. Si cerca di introdurre a Milano la Green Inferno, sostituendola
alla più costosa cocaina, sottraendo quote di mercato alla ‘ndrina dei Capasso
e per farlo non c’è risparmio di violenza, nessun problema se la nuova sostanza
provoca assuefazione immediata e danni cerebrali.
Lo
spettro dei personaggi è molto ampio e affonda da un lato in una complessa
geografia delinquenziale, dall’altro in diverse e approfondite figure di
detective. Tornano i protagonisti di “Io la troverò”, il primo pubblicato da
Feltrinelli nella serie “Milano nera”, con cui De Marco è stato finalista al
Premio Scerbanenco 2014, il più importante premio italiano della narrativa di
genere. I poliziotti Marco Tanzi e Luca Betti sono quasi due parti dello stesso
uomo alla soglia dei cinquanta, che inevitabilmente fa i conti con se stesso e
sente il respiro farsi più corto, una vita tutta dietro e la spaventosa
impressione di non poter più cambiare, progettare e neanche riparare i danni
già fatti o di intraprendere rapporti costruttivi. I dialoghi sono incisivi, hanno
spazio, la capacità di narrare è indubbia, il modo è oggettivo con alcuni
capitoli molto suggestivi in cui i protagonisti parlano in prima persona, la
tensione è sempre alta. Un grande romanzo, una prova da scrittore maturo.
Piera Carlomagno
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