Milano, Milano, quella
très chic dell’alta moda e del pret-à-porter e quella delle periferie
degradate, dei casermoni del Comune, degli appartamenti liberati la sera con la
forza e rioccupati il giorno dopo e quella di chi non ha proprio niente, né
casa, né famiglia, né una vita sua. L’omicidio di una top model durante una
sfilata sarà il mistero di cui si parlerà stasera alle 19, da Botteghelle65, degustando
i vini di Paolo Verrone, con la presentazione, curata dall’associazione noir
“Porto delle nebbie”, dell’ultimo giallo di Gianni Biondillo, dal titolo
“L’incanto delle sirene”, pubblicato da Guanda.
C’è fascino da vendere
nella lettura che offre il giallista(-architetto) tra i più noti, della città
più metropolitana ed europea d’Italia, con un filo rosso che unisce piazza Gae
Aulenti - circolare, sopraelevata, dominata dalle torri Unicredit – con i
quartieri della mala, Quarto Oggiaro, la Barona, il Giambellino. Affascinante
perché doppia: da un lato è il racconto del male, che passa attraverso tutti i
sentimenti più meschini dettati da ogni forma di disperazione e debolezza.
Dall’altro è una critica all’urbanistica che dilaga sotto forma di moda
anch’essa, un po’ frenata dalla crisi, ma inesorabile, inarrestabile a piallare
diversità e caratteri. Città uguali, architetti uguali, purché siano archistar
arrivate da lontano. E per essere uguali alle altre, le città subiscono ogni
genere di umiliazione.
Ma soprattutto c’è il
giallo, frizzante, per menti lucide, perché non si tratta di un’indagine
serrata, ma il romanzo ha una forza sua notevole, che a volte spiazza. Mai
visto un ispettore meno capo, meno eroe, meno ossessionato dal voler trovare il
colpevole. Ferraro divaga. Si distrae. E’ il suo metodo. Perché a folgorarlo
sono frasi ascoltate qua e là, sono gesti visti fare a qualcuno, sono ricordi
di rapporti intrapresi per caso, di azioni trascurate. Epperò la sua indagine è
moderna, segue le regole, la procedura è sempre quella giusta. Ferraro lascia
spazio al medico legale, alla scientifica, rispetta i tempi, non ha fretta
neanche di visionare le immagini catturate dalle telecamere. Nel frattempo
vive.
Divertente il rapporto
con la figlia adolescente: lui, neanche a dirlo, è separato e pieno di sensi di
colpa per la vita cui costringe la ragazza, che però pare serena, brillante,
presa da mille cose e come tutti i giovanissimi di oggi, capace di fare mille
cose contemporaneamente. Lui cerca di seguirla e non ci riesce, non si
arrabbia, si prende in giro, accetta, come sempre, i propri limiti. E
divertente è anche il rapporto con le donne, che è qualitativamente e quantitativamente, inversamente proporzionale
all’interesse che lui prova verso ognuna di loro.
Tranquillo, l’ispettore
Ferraro non ha ambizioni particolari e i suoi amici sono tutti personaggi poco
raccomandabili di Quarto Oggiaro. Il suo mondo, resta quello lì. Un orientamento
politico, se si vuole, c’è: Ferraro si annoia nel mondo patinato della moda –
che però invece descrive mirabilmente – ama gli uffici della polizia, il caldo,
i pranzi arrangiati, il lavoro, la sua vita così così. Propende chiaramente per
barboni e senza tetto, fa un tifo sfegatato per loro quando si trovano in
difficoltà, si inventa persino poliziotti cattivi, così, per mettere le cose in
chiaro.
E di conseguenza anche
il lettore accanito (e incattivito) di gialli si rilassa, si guarda intorno, si
interessa all’arte, alla moda, alla vita grama di mendicanti e prostitute, che
non sono poi così male, all’ingiustizia sociale nascosta, eclissata addirittura,
dalle mille luci di Milano.
Piera Carlomagno
(Articolo pubblicato su "Il Mattino" del 21 ottobre 2015)
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