Roma. Settembre. Notte.
Il ragazzino entra.
Piove.
La pioggia copre la luce della luna.
Il ragazzino non è un “cacasotto”,
non ha paura.
Entra.
Cerca un sasso. Lo scaglia forte,
lontano.
Entra. È notte.
Poi un lampo, una ferita di luce nel
buio, e vede.
Vede la “forma indistinta”.
Avanza, non ha paura. La pioggia
penetra all’interno.
Avanza.
Il corpo non si muove. È stato il
suo sasso?
Il sacco non copre tutto, testa e
piedi con le scarpe sono a vista.
Cerca il segno del sasso.
Guarda i piedi, le scarpe servono.
La zip del sacco è bloccata. Prova e
riprova. Niente.
Poi capisce. Non è stato il suo
sasso.
Passi.
“Tu non mi conosci. Nessuno mi
conosce. Sono solo un’ombra. E uccido”.
La morte, protagonista. Ma questa
non è la prima e neanche l’ultima delle morti di Dio.
È fine estate. Una strana pioggia,
continua e pesante, ricopre Roma. Una città diversa, tetra e cupa, la Roma di
periferia, con la sua archeologia industriale.
E in questo territorio l’ombra si
muove indisturbata.
E uccide.
“La morte è uno spettacolo”, Enrico
Mancini lo sa.
Lui che è un commissario diverso,
che si è specializzato a Quantico, che riconosce i crimini seriali. Lui che è
debole davanti ai corpi delle vittime, che non si abitua a vederli. Non si
abituerà mai. Lui che nasconde il suo dolore e le sue fragilità.
Quando ritrovano la prima vittima la scena del crimine è un
enigma che non si riesce a decifrare. Mancini rifiuta il caso, non vuole accettare
l’idea che sia un serial killer. Ma è così. Lui lo sa, il suo istinto lo sa.
Ma l’ombra uccide ancora.
Il secondo corpo, e un messaggio
mail inviato ad un insolito destinatario, lo obbligano ad accettare.
Deve accettare, Mancini. Non vuole,
ma deve.
Non vuole perché il buio in cui
agisce l’ombra si sovrappone al buio della sua anima, perché il suo dolore è un
ombra che deve restare nascosta, perché un corpo straziato è l’ombra che domina
tutto lo spazio della sua anima.
L’ombra.
Ma deve accettare.
E allora beve una birra scura,
indossa i suoi guanti, la sua arma di difesa dal suo dolore, e va, nella
pioggia e nel buio della notte di Roma e del suo cuore.
“È così che si uccide”, un
meraviglioso insolito thriller, un libro in cui scopri che la morte regola la
vita. Perché la morte è sì uno spettacolo, ma devastante, e il buio che genera nell’animo di chi resta
può uccidere se affrontato a mani nude. L’unica difesa è, dunque, indossare un paio di guanti, per evitare il
contatto delle tue mani con il buio generato dal tuo stesso dolore. Enrico Mancini lo sa.
Brunella Caputo
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