Cosa resta
della ligèra, la romantica malavita milanese dei malnatt di “Ma mi”? Cosa resta
con l’arrivo della criminalità organizzata siciliana, delle ‘ndrine calabresi e
della camorra? Restano ancora loro, protettori e maitresse, sequestratori,
biscazzieri, trafficanti di droga e strozzini. Restano figure negative e
leggendarie, restano i luoghi, i personaggi e le atmosfere dei più atroci e
celebri delitti che portarono la città di Milano in un vortice noir che la
polizia non riuscì a fermare. Anni ’72-’84, Milano è la “città rossa”. Paolo
Roversi, con il suo straordinario romanzo “Solo il tempo di morire”, edito da
Marsilio e Premio Selezione Bancarella 2015, attraversa la stagione dei
movimenti studenteschi, poi del terrorismo e del nascente, incredibile mercato
della droga, arriva alle soglie della “Milano da bere”, e racconta uomini,
luoghi e avvenimenti veri, i personaggi sono di spessore tale da poter essere
riconosciuti anche dai meno informati. Roversi aiuta, lasciando intatte le
iniziali dei nomi. Francis Turatello è Franco Tarantino, il boss delle bische
che non riesce a rinunciare al ciuffo che lo rende riconoscibile durante le
rapine, è quello che importa a Milano il modello Las Vegas e che poi muore in
carcere ammazzato da o’ nimale, Pasquale Barra, killer della camorra di
Raffaele Cutolo. Renato Vallanzasca è Roberto Vandelli, il bandito del
Giambellino, plateale, disordinato, accentratore ed esibizionista, il suo vice
è solo un braccio armato. Angelo Epaminonda è Agostino Ebale, il Catanese,
biscazziere e re della coca, con lui comincia la guerra in strada e la vera
mattanza scatenata con l’aiuto degli Indiani. Ma i protagonisti non sono solo i
grandi criminali, l’investigatore del romanzo è colui che sarebbe diventato il
questore di Milano Achille Serra, in primo piano ancora il commissario
Calabresi con la sua visione diversa, l’editore Giangiacomo Feltrinelli che se
ne andò con i suoi misteri e tanti altri. Su tutto, “Solo il tempo di morire” è
un romanzo e vincono atmosfera e ritmo, anche se estremamente affascinante è
l’intreccio con le vicende dell’epoca, con la storia d’Italia che in quegli
anni ebbe Milano protagonista per molti versi, il ritratto di una polizia
impegnata su troppi fronti, il momento in cui, negli anni Ottanta, “la musica
cambia” e non è solo quella di Mina o dei Nomadi che fa da sottofondo alla
storia.
Piera Carlomagno
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