Perché.
Perché
ogni canzone è una storia.
Perché
se non mi volete me lo dovete dire: io non ti voglio.
Perché
mi abbaglio piano piano e mi brucio la mano per volerti cacciare via.
Perché
sono solo, senza nemmeno un sogno pazzo a farmi compagnia.
Perché
cantano. Ma che hanno da cantare?
Perché
cantano per non impazzire.
Perché
una notte di settembre non passa e quell’uomo non smette di cantare.
Perché
arriva lei, alta e sottile. Lei con la veletta, pallida e senza trucco. Bella.
Perché
si assomigliano, occhi negli occhi, viola nel verde senza un battito di ciglia.
Perché
ci si trova in una lite continua all’interno del proprio stesso corpo.
Perché
si setacciano pomodori per metterli in una bottiglia. Di vetro. Come la propria
anima.
Perché
occorre una pista da seguire per non rimanere prigioniero del proprio inferno.
Perché
quell’inferno spiega il perché del suo attaccamento al lavoro, al rimestare nel
fango che donne e uomini portano chiuso nel cuore.
Perché
il segreto delle relazioni è la libertà.
Perché
faceva caldo, e c’era la finestra aperta.
Perché
lei gli aveva trasmesso una specie di inquietudine.
Perché
lei non sarà libera finché non saprà il perché.
Perché
non tutte le notti sono uguali.
Perché
le anime dei vicoli sono di vetro, ci si può guardare attraverso.
Perché
a settembre le porte possono rimanere chiuse.
Perché
si può dormire, forse sognare…
Perché
alle notti di settembre, e ai sogni che portano, bisogna fare attenzione.
Perché
a settembre il profumo vince sul domani.
Perché,
nel sogno, lei gli disse: Aiutami.
Perché
urlò: dov’è il mio cuore?
Perché
quella notte c’era l’aria di settembre.
Perché…da
quanto tempo non faceva l’amore. E quanto ne sentisse il bisogno urgente.
Perché
l’aria di settembre mette in discussione ogni sicurezza.
Perché
la memoria cerca di aiutare lo stomaco e cancella subito il sapore, così non è
sempre peggio.
Perché
era un padre, e non la poteva vedere macerarsi dal dolore.
Perché
c’era quel modo in cui teneva le spalle quando credeva che nessuno la vedesse.
Perché
l’errore sarebbe rinunciare a quello che si ha nel cuore in nome di una
convenienza.
Perché
voglio che tu non zittisca il tuo cuore.
Perché
uno mormorava: vieni, vieneme a piglia’, nun c’a faccio, e l’altro ripeteva:
nun me tira’, nun me tira’, in una dolorosa giornata al mare.
Perché
doveva attaccare la definitiva rampa di scale che portava all’abbaino
terrazzato ed era, come sempre, molto
poco incline alla conversazione.
Perché
probabilmente anche il giorno del delitto il quartiere si presentava così, più
caldo e con qualche finestra aperta in più.
Perché
dobbiamo muoverci. L’acqua ferma, puzza.
Perché
era difficile leggere le espressioni di quell’uomo dagli occhi febbrili di un
colore assurdo.
Perché
lui aveva tenuto i propri occhi in quelli di lei, dal colore indefinibile, e vi
aveva riconosciuto la certezza della verità.
Perché
è il pensiero di te che mi rende viva.
Perché
io ti salvo non volendoti.
Perché
la felicità è sempre un’illusione, è sempre un sogno da inseguire.
Perché
racconta quello che vede, una falena che si avvicina alla fiamma di una
candela, e lo fa vedere a noi.
Perché
riprende a cantare.
Perché
mi brucio la mano per volerti cacciare via.
Perché
c’è un momento nella notte che è un diaframma, e non è lo stesso per tutti.
Perché
accade di aver paura di sentirsi forti.
Perché
farò a meno di te quando avrò capito il perché.
Perché
i sogni durano poco.
Perché
la coscienza si siede e cede il passo ai sogni confusi e agli incubi disperati.
Perché
gioire della sofferenza altrui gli faceva orrore.
Perché
anche gli scarafaggi possono essere animali interessanti e fare molta
compagnia.
Perché
si ammazza per fame o per amore.
Perché
il rischio dell’infelicità è sempre meglio della felicità forzata.
Perché
la bellezza ti arriva in petto come un colpo improvviso.
Perché
quando entra nella grande sala dei colloqui nota un bambino che piange.
Perché:
che sei venuta a fare? Non abbiamo niente da dirci.
Perché
ora lo hai perso, il cuore.
Perché
lei gli chiede di non smettere di cercare il perché, e lui le risponde che non
smetterà.
Perché
sa cosa vuol dire essere prigionieri di se stessi.
Perché
se ne andò, senza girarsi indietro.
Perché
aveva indirizzato un rapido sguardo alla finestra al di là della strada.
Perché
certe sere sono peggiori di altre.
Perché
soffre. Ha occhi bellissimi. Ma soffre. E non per amore.
Perché
non lo odia e non lo ama.
Perché
un’altra falena è stata salvata dal fuoco.
Perché
il suo unico vizio era lei.
Perché
il suo compleanno era a luglio. E i suoi genitori fecero una festa.
Perché
in un viaggio in oriente aveva visto una pietra del colore dei suoi occhi, che
mandano una luce strana, l’ultimo raggio
di sole prima della notte.
Perché
lui la amerà fino alla morte. E anche dopo.
Perché
l’azzurro era il colore di quella città.
Perché
si voltò e lo vide.
Perché
non apparteneva a nessuno dei due mondi. Loro due al di là di un vetro e lui
sempre dal lato sbagliato.
Perché
le lacrime le scendevano lungo le guance.
Perché
gli chiese: a che serve, il mare?
Perché
c’è tutto quel mare inutile alle spalle.
Perché
aveva finalmente capito che la canzone è una storia.
Perché
doveva raccontare una storia con le mani.
Perché
camminava avendo nella testa lo stesso vento e la stessa sabbia del giorno
prima.
Perché
le mura esistono, e le costruisce la vita.
Perché
le anime sono fragili. Esseri bellissimi e fragili.
Perché
voleva solo una vita normale.
Perché
la fermata del tram era quella di via Depretis.
Perché
una donna si accorge sempre se qualcuno si innamora di lei.
Perché
le disse di cercarsi un uomo.
Perché
quando lei fu uscita dalla grande sala, lui si concesse di piangere.
Perché
aveva solo la sua dignità.
Perché
Dio aveva commesso un crimine inventando l’amore.
Perché
lei era sola.
Perché
lui risposte non ne aveva.
Perché
rimasero così, gli occhi viola in quelli verdi.
Perché
continuava a chiedere al mare: a che servi?
Perché
lui felice non è, e chissà che ha nel cuore.
Perché
tra sé, piangendo, disse. io ti odio.
Perché
tra sé, piangendo, disse: io ti amo.
Perché
l’omicidio non è una finzione narrativa.
Perché
l’aveva liberata dall’ossessione di qualcosa di incomprensibile.
Perché
vederla è la differenza tra vivere e morire.
Perché
per amare bisogna essere disponibili a soffrire.
Perché
da ragazza avrebbe voluto recitare.
Perché
una possibilità di felicità vale molto di più della certezza dell’infelicità.
Perché
l’anima sarà pure di vetro, ma a volte può andare in frantumi.
Perché
la mano si brucia e la falena non si allontana comunque.
Perché
questa canzone racconta una storia.
E la
storia è quella delle anime di vetro.
Credevo
di aver letto il più bel libro con “In fondo al tuo cuore”.
Credevo,
ma Maurizio de Giovanni supera sempre se
stesso.
“Anime
di vetro”: il più bel viaggio nell’anima dell’amore che uccide.
Brunella Caputo
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