mercoledì 29 luglio 2015

SOGNI NOIR di Brunella Caputo - Anime di Vetro di Maurizio de Giovanni






Perché.
Perché ogni canzone è una storia.
Perché se non mi volete me lo dovete dire: io non ti voglio.
Perché mi abbaglio piano piano e mi brucio la mano per volerti cacciare via.
Perché sono solo, senza nemmeno un sogno pazzo a farmi compagnia.
Perché cantano. Ma che hanno da cantare?
Perché cantano per non impazzire.
Perché una notte di settembre non passa e quell’uomo non smette di cantare.
Perché arriva lei, alta e sottile. Lei con la veletta, pallida e senza trucco. Bella.
Perché si assomigliano, occhi negli occhi, viola nel verde senza un battito di ciglia.
Perché ci si trova in una lite continua all’interno del proprio stesso corpo.
Perché si setacciano pomodori per metterli in una bottiglia. Di vetro. Come la propria anima.
Perché occorre una pista da seguire per non rimanere prigioniero del proprio inferno.
Perché quell’inferno spiega il perché del suo attaccamento al lavoro, al rimestare nel fango che donne e uomini portano chiuso nel cuore.
Perché il segreto delle relazioni è la libertà.
Perché faceva caldo, e c’era la finestra aperta.
Perché lei gli aveva trasmesso una specie di inquietudine.
Perché lei non sarà libera finché non saprà il perché.
Perché non tutte le notti sono uguali.
Perché le anime dei vicoli sono di vetro, ci si può guardare attraverso.
Perché a settembre le porte possono rimanere chiuse.
Perché si può dormire, forse sognare…
Perché alle notti di settembre, e ai sogni che portano,  bisogna fare attenzione.
Perché a settembre il profumo vince sul domani.
Perché, nel sogno, lei gli disse: Aiutami.
Perché urlò: dov’è il mio cuore?
Perché quella notte c’era l’aria di settembre.
Perché…da quanto tempo non faceva l’amore. E quanto ne sentisse  il bisogno urgente.
Perché l’aria di settembre mette in discussione ogni sicurezza.
Perché la memoria cerca di aiutare lo stomaco e cancella subito il sapore, così non è sempre peggio.
Perché era un padre, e non la poteva vedere macerarsi dal dolore.
Perché c’era quel modo in cui teneva le spalle quando credeva che nessuno la vedesse.
Perché l’errore sarebbe rinunciare a quello che si ha nel cuore in nome di una convenienza.
Perché voglio che tu non zittisca il tuo cuore.
Perché uno mormorava: vieni, vieneme a piglia’, nun c’a faccio, e l’altro ripeteva: nun me tira’, nun me tira’, in una dolorosa giornata al mare.
Perché doveva attaccare la definitiva rampa di scale che portava all’abbaino terrazzato ed era, come sempre,  molto poco incline alla conversazione.
Perché probabilmente anche il giorno del delitto il quartiere si presentava così, più caldo e con qualche finestra aperta in più.
Perché dobbiamo muoverci. L’acqua ferma, puzza.
Perché era difficile leggere le espressioni di quell’uomo dagli occhi febbrili di un colore assurdo.
Perché lui aveva tenuto i propri occhi in quelli di lei, dal colore indefinibile, e vi aveva riconosciuto la certezza della verità.
Perché è il pensiero di te che mi rende viva.
Perché io ti salvo non volendoti.
Perché la felicità è sempre un’illusione, è sempre un sogno da inseguire.
Perché racconta quello che vede, una falena che si avvicina alla fiamma di una candela, e lo fa vedere a noi.
Perché riprende a cantare.
Perché mi brucio la mano per volerti cacciare via.
Perché c’è un momento nella notte che è un diaframma, e non è lo stesso per tutti.
Perché accade di aver paura di sentirsi forti.
Perché farò a meno di te quando avrò capito il perché.
Perché i sogni durano poco.
Perché la coscienza si siede e cede il passo ai sogni confusi e agli incubi disperati.
Perché gioire della sofferenza altrui gli faceva orrore.
Perché anche gli scarafaggi possono essere animali interessanti e fare molta compagnia.
Perché si ammazza per fame o per amore.
Perché il rischio dell’infelicità è sempre meglio della felicità forzata.
Perché la bellezza ti arriva in petto come un colpo improvviso.
Perché quando entra nella grande sala dei colloqui nota un bambino che piange.
Perché: che sei venuta a fare? Non abbiamo niente da dirci.
Perché ora lo hai perso, il cuore.
Perché lei gli chiede di non smettere di cercare il perché, e lui le risponde che non smetterà.
Perché sa cosa vuol dire essere prigionieri di se stessi.
Perché se ne andò, senza girarsi indietro.
Perché aveva indirizzato un rapido sguardo alla finestra al di là della strada.
Perché certe sere sono peggiori di altre.
Perché soffre. Ha occhi bellissimi. Ma soffre. E non per amore.
Perché non lo odia e non lo ama.
Perché un’altra falena è stata salvata dal fuoco.
Perché il suo unico vizio era lei.
Perché il suo compleanno era a luglio. E i suoi genitori fecero una festa.
Perché in un viaggio in oriente aveva visto una pietra del colore dei suoi occhi, che mandano una luce strana,  l’ultimo raggio di sole prima della notte.
Perché lui la amerà fino alla morte. E anche dopo.
Perché l’azzurro era il colore di quella città.
Perché si voltò e lo vide.
Perché non apparteneva a nessuno dei due mondi. Loro due al di là di un vetro e lui sempre dal lato sbagliato.
Perché le lacrime le scendevano lungo le guance.
Perché gli chiese: a che serve, il mare?
Perché c’è tutto quel mare inutile alle spalle.
Perché aveva finalmente capito che la canzone è una storia.
Perché doveva raccontare una storia con le mani.
Perché camminava avendo nella testa lo stesso vento e la stessa sabbia del giorno prima.
Perché le mura esistono, e le costruisce la vita.
Perché le anime sono fragili. Esseri bellissimi e fragili.
Perché voleva solo una vita normale.
Perché la fermata del tram era quella di via Depretis.
Perché una donna si accorge sempre se qualcuno si innamora di lei.
Perché le disse di cercarsi un uomo.
Perché quando lei fu uscita dalla grande sala, lui si concesse di piangere.
Perché aveva solo la sua dignità.
Perché Dio aveva commesso un crimine inventando l’amore.
Perché lei era sola.
Perché lui risposte non ne aveva.
Perché rimasero così, gli occhi viola in quelli verdi.
Perché continuava a chiedere al mare: a che servi?
Perché lui felice non è, e chissà che ha nel cuore.
Perché tra sé, piangendo, disse. io ti odio.
Perché tra sé, piangendo, disse: io ti amo.
Perché l’omicidio non è una finzione narrativa.
Perché l’aveva liberata dall’ossessione di qualcosa di incomprensibile.
Perché vederla è la differenza tra vivere e morire.
Perché per amare bisogna essere disponibili a soffrire.
Perché da ragazza avrebbe voluto recitare.
Perché una possibilità di felicità vale molto di più della certezza dell’infelicità.
Perché l’anima sarà pure di vetro, ma a volte può andare in frantumi.
Perché la mano si brucia e la falena non si allontana comunque.
Perché questa canzone racconta una storia.
E la storia è quella delle anime di vetro.

Credevo di aver letto il più bel libro con “In fondo al tuo cuore”.
Credevo, ma Maurizio de Giovanni  supera sempre se stesso.
“Anime di vetro”: il più bel viaggio nell’anima dell’amore che uccide.

Brunella Caputo



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